Il Sacco di Sutri – 28 settembre 1433
In quell’anno del Signore 1433, sotto il pontificato di Eugenio IV, terribili furono i disordini in tutta la Tuscia, ché guelfi e ghibellini, venturieri e ribelli, con ferro e fuoco devastavano terre e borghi senza tregua.E il dì 28 di settembre venne Niccolò Fortebraccio, capitano di ventura, con quindici mila cavalli e innumerevoli fanti, gente non di fede né di cuore, ma solo di rapina. Postosi sotto le mura di Sutri, dopo avere già assediato Nepi, egli mandò lettere e avvisi, promettendo salvezza se il borgo gli fosse stato aperto. Ma i Sutrini, avvertiti, già aveano messo in salvo buona parte delle loro cose, e tenacemente ricusarono ogni patto.
In quel frangente si distinsero quattro uomini, che la memoria cittadina ancora ricorda: Matteo, fabbro d’armi; Pietro detto lo Zoppo, veterano di battaglie; Lapo, giovane pastore ma di animo saldo; e frate Bonaventura, monaco armato solo della sua croce e d’una spada. A costoro si unì anche Luca, carrettiere, che guidò le carovane di donne e fanciulli lungo la via per Ronciglione, mentre i compagni trattenevano i venturieri.
Tutta notte essi vigilarono sulle porte e sulle mura di tufo, e quando l’alba venne, le genti di Fortebraccio si scagliarono all’assalto. Lungamente durò la zuffa, ché gli uomini di Sutri gettavano sassi e olio bollente, e con dardi respingevano i nemici. Ventisette fanti di Nicolò caddero e moltissimi furono i feriti. Ma le mura non potevano reggere contro sì grande moltitudine.
Matteo fu il primo a cadere, trafitto mentre difendeva la Porta Romana. Pietro lo Zoppo rimase sino all’ultimo a coprire la ritirata, menando colpi con la sua mazza ferrata finché il fuoco non lo avvolse. Frate Bonaventura raccolse i fanciulli smarriti e li spinse fuori dal borgo, poi tornò dentro a pregare e morì fra le fiamme della chiesa arsa. Lapo, il giovane, cadde all’ombra delle mura, e dicono che le sue ultime parole furono di lode alla città che non volle arrendersi.
Così i quattro valorosi, con il carrettiere Luca che portò in salvo la prole e le donne, furono baluardo della fede e della patria. Ma Fortebraccio, vedendo la resistenza vana per il bottino, e non potendo vincere la città, diede alle fiamme il borgo di Sutri, lasciandone in cenere case e chiese.
Grande fu la miseria che seguì, tanto che lo stesso pontefice dovette concedere remissione di tributi ai Sutrini, ché null’altro aveano se non lacrime e ruine.
E così rimase scritto nei ricordi della Tuscia: che in quel giorno terribile, fra incendi e scorrerie, pochi uomini semplici resistettero sino alla morte, affinché Sutri non fosse detta vile, ma fiera e fedele alla sua libertà...
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