LA STRAGE DI CEFALONIA
(DIARIO DI MARCO MORETTI)
La strage di Cefalonia avvenne nel settembre 1943, durante la Seconda guerra mondiale, sull'isola greca di Cefalonia. Dopo l’armistizio dell’8 settembre firmato dall’Italia con gli Alleati, i soldati italiani della Divisione Acqui (circa 11.500 uomini) si trovarono isolati e senza ordini precisi. I tedeschi, che erano ancora alleati fino a pochi giorni prima, chiesero la resa degli italiani. Gli ufficiali italiani, dopo aver discusso e aver consultato i soldati, rifiutarono di arrendersi.
Ne seguì una dura battaglia contro i tedeschi dal 13 al 22 settembre 1943. Alla fine, gli italiani furono sopraffatti. I tedeschi, in violazione delle leggi di guerra, considerarono i soldati italiani come "traditori" e eseguirono una strage: circa 5.000 militari italiani furono fucilati o uccisi nei giorni successivi. Molti altri morirono durante il trasporto in mare verso i campi di prigionia, a causa di naufragi o condizioni disumane.
La strage di Cefalonia è diventata uno dei simboli della brutalità della guerra e del prezzo pagato da molti soldati italiani dopo l’armistizio.
DIARIO DI MARCO MORETTI
10 settembre 1943
Il vento oggi soffiava forte sull'isola. Dal nostro accampamento vedevamo il mare increspato come un lenzuolo agitato.
La radio ha gracchiato per ore: l’Italia ha firmato l’armistizio con gli Alleati. Inizialmente qualcuno ha urlato di gioia. "La guerra è finita!", dicevano. Ma nei nostri occhi c’era solo confusione. Finita davvero? E i tedeschi qui sull’isola? Loro sembravano tutt’altro che amichevoli.
12 settembre 1943
Oggi sono arrivati gli ordini: dobbiamo decidere. I tedeschi ci intimano di consegnare le armi.
Il nostro comandante, il generale Gandin, ha voluto che votassimo. Io, come tanti altri, ho scelto di resistere. Non per eroismo, no. Solo per dignità. Perché non siamo traditori, siamo italiani, e non voglio consegnare il mio fucile a chi ci ha voltato le spalle.
15 settembre 1943
È cominciato tutto all’alba.
Le montagne tremavano sotto il rombo delle artiglierie. I tedeschi avanzavano con forza: carri armati, mitragliatrici, fuoco incessante. Noi ci siamo difesi come potevamo. Le nostre mani sporche di terra e sangue, i cuori gonfi di paura. Ho visto Gianni, il mio compagno di branda, colpito al petto. È caduto senza un grido, gli occhi spalancati verso il cielo.
18 settembre 1943
Siamo stanchi, senza viveri, senza rinforzi. I tedeschi ci hanno chiusi in una morsa.
Stanotte abbiamo combattuto fino a usare anche le baionette. Non c'è più spazio per la paura, solo istinto.
Mi chiedo se qualcuno, a casa, saprà mai cosa stiamo vivendo qui.
22 settembre 1943
La resa.
Non avevamo altra scelta. Abbiamo deposto le armi, credendo nella parola dei tedeschi.
Ci hanno radunato in gruppi. Ho visto ufficiali con la fronte alta, soldati che cercavano di mantenere la dignità. Ma i fucili tedeschi non hanno tremato.
Gli spari sono iniziati poco dopo. Uno dietro l’altro, come un macabro rituale.
23 settembre 1943
Scrivo queste righe nascondendomi tra i sassi della spiaggia. Sono ancora vivo, non so per quanto.
Ho finto di essere morto, il sangue degli altri mi copre come una coperta.
Il mare davanti a me è tranquillo, come se nulla fosse accaduto.
Se questo diario verrà mai trovato, voglio che si sappia: noi abbiamo combattuto con onore. Non siamo morti invano.
Per l'Italia. Per la libertà.
Per non essere dimenticati.

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